Potere e resistenza: l’analisi critica di Enrico Redaelli

17.12.2012 11:11

 

<<Nel declino del Welfare, la biopolitica assume una piega che si può qualificare come bioeconomica nel senso di uno strutturale e diretto innesto dell’economico sulle dinamiche del vivente>>. Stiamo parlando di una biopolitica, intesa come produttività della vita stessa, relazionata ma contraddistinta, dal biopotere <<che assoggetta la vita per soggettivarla e governarla>>.

All’interno di queste dinamiche di potere, in che circostanze Foucault introduce il tema della libertà? È interessante introdurre, ora, l’analisi critica proposta da Enrico Redaelli a riguardo. Egli analizzando un saggio di Michel Foucault del 1983, Come si esercita il potere?, inserisce una stimolante griglia d’analisi del rapporto potere-soggetto che andrà a sfociare nel rapporto potere-resistenza. Nel saggio leggiamo che quando si esercita il potere, inteso <<come un modo di azione sulle azioni degli altri, quando si caratterizzano queste azioni attraverso il governo degli uomini da parte di altri uomini – nel senso più ampio del termine – vi si include un elemento importante: la libertà>>. <<Nel cuore della relazione di potere, e a provocarla costantemente, c’è la resistenza della volontà e l’intransigenza della libertà>>. Redaelli mette a fuoco un punto problematico all’interno della teorizzazione filosofica foucaultiana; ossia, il fatto che Foucault abbia precedentemente abbandonato la fenomenologia husserliana sostenendo che <<non era all’altezza dei tempi perché, ingenuamente, credeva ancora nel soggetto, dopo aver detto di volersi sbarazzare del soggetto, […] proprio Foucault è qui costretto a resuscitare l’essenza primigenia di ogni soggettività>>. Si tratta della <<volontà>> e della <<libertà>>.

Tali nozioni servono all’autore per poter parlare della resistenza al potere. Redaelli mette a fuoco l’insufficiente chiarezza di Foucault nel trattare il tema della volontà: effettivamente tale ambito non è stato affrontato in modo opportuno dal filosofo francese, il quale sembra abbia trovato piú comodo aggirare il problema, non offrendone una definizione esaustiva (o sarebbe meglio dire, non fornendone alcuna).

Si sa, che la politica è da lui elaborata in relazione alle forme di resistenza; forse, egli ha creduto di poter usare la parola <<volontà>> per quel tanto che gli serviva a dare spazio a quella zona neutra del soggetto che, non essendo attraversata dal potere, può, di conseguenza, essere considerata come l’origine delle resistenze.

<<È un peccato che il tema, nel suo complesso, non sia mai stato chiarito neppure in seguito, poiché esso costituisce il nodo centrale del rapporto potere-soggetto così come questo è stato affrontato da Foucault. Attraverso il motivo della <<volontà di resistere>> (di una volontà individuale legata alla libertà del soggetto) egli sembra infatti tracciare un limite, […] una sorta di <<zona franca>> alla quale il potere non ha accesso>>.

Tale limite, dice Redaelli, è indicato nell’Ermeneutica del soggetto, ove Foucault, durante la lezione del 17 febbraio 1982, sostiene che l’unico punto di resistenza al potere che si può individuare sta nel rapporto con se stessi, <<di sé con sé>>.

A parere di Redaelli, tuttavia, la linea di analisi di Foucault non è affatto coerente con la sua idea di soggetto. Infatti, il filosofo francese espone un parere differente per quanto riguarda il rapporto che vi è tra sapere e soggetto, nel quale considera la coscienza e l’inconscio di quest’ultimo determinati da meccanismi di coercizione, arbitrari, <<allora ciò che il soggetto pensa, dice e fa non costituisce mai un luogo originario, ma sempre derivato e determinato dalla storicità>>. Dunque, si dispiega con forza una domanda che mette in crisi il pensiero foucaultiano: che valore può avere la volontà di resistere al potere se questa è attraversata dal potere stesso? Se non esiste un sé originario, sul quale la resistenza può porre le sue fondamenta, si può parlare di un auto-costituzione del soggetto al di fuori dei dispositivi coercitivi?

Redaelli continua con la sua preziosa analisi, sostenendo che, ad un certo punto, Foucault opera una svolta, un cambiamento. Non si tratta più del <<potere>> ma di determinate forme di potere (la <<governamentalità>>). È questo ciò che emerge da un altro saggio del 1983: Perché studiare il potere: la questione del soggetto.

<<Vorrei suggerire un altro modo per avanzare ulteriormente verso una nuova economia delle relazioni di potere […]. Esso consiste nel considerare come punto di partenza le forme di resistenza opposte alle differenti forme di potere>>. È a questo punto che Foucault decide di fermare il proprio studio riguardante il rapporto potere-soggetto. <<Al di sotto di tale livello, sia da una parte (forme di resistenza) che dall’altra (determinate forme di potere), resta, nell’ombra, una concatenazione di pratiche e di corrispondenti stratificazioni di senso che costituiscono e ancor prima rendono possibile i due poli e il loro reciproco contrapporsi>>.