La resistenza contro l’assoggettamento: una nuova razionalità

17.12.2012 11:13

 

Già nel 1976, in La volontà di sapere, dopo aver sottolineato che <<le relazioni di potere non sono in posizione di esteriorità nei confronti di altri tipi di rapporti (processi economici, rapporti di conoscenza, relazioni sessuali), ma che sono loro immanenti>> e dopo aver detto che il potere viene dal basso, Foucault evidenzia anche che <<là dove c’è potere c’è resistenza e che tuttavia, […] essa non è mai in posizione di esteriorità rispetto al potere. […] [Questi rapporti di potere] non possono esistere che in funzione di una molteplicità di punti di resistenza>>. Non si tratta, quindi, di analizzare un unico punto da cui si svilupperebbe il <<grande Rifiuto>>, queste forme di resistenza sono distribuite in modo non omogeneo; esse rispecchiano i caratteri del potere:

<<i punti, i nodi, i focolai di resistenza sono disseminati con maggiore o minore densità nel tempo e nello spazio, facendo insorgere talvolta gruppi o individui in modo definitivo, accendendo improvvisamente certi punti del corpo, certi momenti della vita, certi tipi di comportamento>>.

 

Risulta chiaro che come il potere coinvolge il corpo e i comportamenti degli individui, così le resistenze non possono che ripercorrerne la medesima via.

 

Ricordiamo che il potere <<non agisce in un solo luogo, ma in una molteplicità di luoghi: la famiglia, la vita sessuale, il modo in cui vengono trattati i folli, l’esclusione degli omosessuali, i rapporti fra uomini e donne… tutti questi rapporti sono rapporti politici>>. Se vogliamo modificare e migliorare la società in cui viviamo, se vogliamo dare input diversi e nuovi al nostro presente, sono proprio questi i rapporti che dobbiamo trasformare. Dobbiamo modificare quelle tecnologie politiche all’interno delle quali si costituiscono, prendendo forma, le nostre pratiche.

Quest’ultime sono parte di un sistema nel quale non vi è alcuna stabilità; esse sono disarticolate e si sottraggono alla totalizzazione disciplinare. Come possiamo reagire di fronte a tali pratiche costitutive della società? A questo proposito Foucault <<sembrerebbe […] avere ben presente la preoccupazione di utilizzare il proprio lavoro per individuare quali siano le pratiche di resistenza in pericolo, e per scoprire di conseguenza in che modo esse possano venire rafforzate in un senso non totalizzante>>.

Resistere al potere. Usare il sapere, componente determinante del potere, per rivolgere contro quest’ultimo una controffensiva.

Utilizzare il sapere di tutte quelle scienze, strumenti di potere, per rafforzare la resistenza al biopotere. Ma è davvero possibile riuscire a far tutto ciò?

<<Occorre [senza dubbio] promuovere nuove forme di soggettività attraverso il rifiuto di quel tipo di individualità che ci è stato imposto per così tanti secoli>>. Produrre, quindi, dei movimenti di liberazione, nati da quegli stessi meccanismi di assoggettamento che soffocano la libertà dei singoli, insinuandosi fin nella loro coscienza. La libertà è stata assoggettata al potere. Bisogna resistervi. Promuovere una nuova razionalità: <<coloro che resistono o si ribellano ad una forma di potere non dovrebbero accontentarsi di denunciare la violenza o di criticare un’istituzione. Né basta fare il processo alla ragione in generale. […] La questione è: in che modo sono razionalizzate le relazioni di potere?>>. Porsi, e proporre, una questione del genere è l’unico modo per evitare che altre istituzione, aventi le stesse caratteristiche di quelle odierne, prendano il posto di quest’ultime senza alcun rinnovo. La liberazione dallo Stato, e dai suoi effetti d’individualizzazione e totalizzazione può venire solo mediante l’attacco, non contro limitati effetti parziali, <<ma contro le vere radici della razionalità politica>>. La ragione si delinea come un cruento potere; potere da saper gestire ed usare intelligentemente. Ed è proprio a questo punto che emerge uno degli aspetti più pragmatici all’interno del pensiero foucaultiano. Partendo dalla considerazione che la libertà è una pratica, l’unica cosa che è possibile fare è praticarla; è per tale motivo, dice Foucault, che la maggior parte delle leggi delle nostre istituzioni possono essere eluse.

 

 

<<Come scriveva Goethe, non c’è potenza senza limite, senza una resistenza che le si erga contro, cioè senza l’accoglimento dell’impotenza e della pena>>. S’instaura, così, un nesso che lega potenza, corpo, malattia e salute. Di cui Nietzsche sarà esponente significativo. L’autore de La volontà di potenza mette in luce come il dolore, potremmo dire, in quanto sofferenza e resistenza alla morte, non rappresenti un motivo di sconforto o di negazione alla vita, ma come esso sia una possibilità per potenziare la “grande salute”, strettamente connessa alla “grande politica”. Bisogna tener conto del fatto che <<a parte la tortura e l’esecuzione capitale, che rendono impossibile ogni resistenza, qualunque sia […][il dolore] provocato da un dato sistema, ci sono sempre delle possibilità di resistenza>>.

Bisogna, inoltre, essere consapevoli che <<comandare significa riconoscere che c’è ancora qualcuno di fronte a sé, che c’è un altro che ci fronteggia>>, pertanto, di fronte al potere non si deve cadere nell’arrendevole pensiero che si è già stati “sconfitti” ma reagire con forza perché anche nell’obbedienza vi è sempre resistenza.

In questo campo di visuale vivere significa <<inventare un modo radicalmente nuovo di resistere alla potenza>> e di utilizzare il proprio corpo come mezzo attraverso cui raggiungere seri e significativi obiettivi, politici ed esistenziali.