La libertà del singolo
Il rapporto tra l’individuo ed il potere si è instaurato quando è emersa da parte di quest’ultimo la necessità di sviluppare una società di tipo capitalistico. Da quando è comparso il bisogno di potenziare la produzione e di servirsi di menti e braccia che lo sapessero fare. Tutto ciò è stato possibile, dice Foucault, grazie e attraverso la medicalizzazione. <<Con la medicalizzazione, la normalizzazione, si arriva ad ottenere una sorta di gerarchia degli individui più o meno capaci>>, di quelli più portati a svolgere un determinato lavoro piuttosto che un altro. <<È tutto questo, questo prendere in considerazione gli individui in funzione della loro normalità, che io credo sia uno dei grandi strumenti di potere della società contemporanea>>.
È interessante constatare come in questo breve passo, in cui Foucault, in un’intervista, risponde alle domande del suo interlocutore, si intersechino tra di loro, rimandandosi l’un l’altro, diversi settori di sapere: biologia, potere politico, pensiero medico, economia politica. All’interno di questo panorama, dove si colloca il singolo? Ha la libertà di agire, senza essere controllato da una parte dal pensiero giuridico e dall’altra dal pensiero medico?
In che termini si può parlare di libertà? Fino a che punto il singolo può intervenire sulle questioni di potere che lo riguardano? Oggigiorno qual è il nostro ruolo all’interno della politica? Ecco, altre domande che appaiono nella nostra mente, che si fanno largo sconfinando su ulteriori orizzonti di studio riguardanti la sorveglianza e la sicurezza per esempio. Infatti, dalla seconda metà del XIX secolo, si delineano iniziative per la conoscenza e la riduzione dei pericoli prodotti dalla meccanica degli interessi e dall’incapacità da parte delle classi lavoratrici di assumere quell’autoregolazione dei comportamenti che rappresentava l’obiettivo finale della governamentalità liberale classica. Pertanto si avrà l’adozione sempre piú massiccia di strategie della sicurezza le quali sono, al tempo stesso, il contrario e il fondamento del liberalismo. Ciò significa che in questa pratica liberale <<si instaura un rapporto problematico, in costante variazione, in perenne movimento, tra la produzione di libertà e coloro stessi che, producendola, rischiano di limitarla e distruggerla>>.
È ovvio che ciascuno di noi non può avere totale libertà di agire all’interno di uno spazio pubblico senza la minima regolamentazione; sarebbe il caos, sarebbe anarchia.
Dunque a cosa si riduce la nostra libertà? Bisogna considerare la libertà <<come elemento divenuto ormai indispensabile alla stessa governamentalità>>: saper governare bene significa saper rispettare le libertà altrui e saper integrare quest’ultime all’interno di un sistema in cui da una parte vi saranno tutta una serie di dispositivi che dipendono dall’economia, dalla gestione della popolazione e dall’altra vi sarà, invece, un apparato che assicurerà che il disordine e le illegalità vengano represse attraverso la polizia, strumento d’intervento diretto. La gestione della popolazione, la quale è legata alla pratica di governo,<<è […] consumatrice di libertà, poiché può funzionare solo nella misura in cui c’è […] un certo numero di libertà: libertà di mercato, libertà del venditore e del compratore, libero esercizio del diritto di proprietà, libertà di discussione, eventualmente libertà d’espressione, ecc.>>.
Se queste condizioni non fossero presenti ci troveremmo in uno Stato dispotico. In che misura, tuttavia, vengono limitate le nostre libertà? Abbiamo detto che il liberalismo è un’arte di governo che si occupa della sicurezza e degli interessi dei singoli; <<esso – ed è questo il rovescio della medaglia – non può intervenire [su tali interessi] senza essere al tempo stesso amministratore dei pericoli e dei meccanismi di sicurezza/libertà, del gioco sicurezza/libertà che deve garantire che gli individui o la collettività saranno esposti il meno possibile ai pericoli>>.
Dunque, queste procedure di controllo costituiscono una sorta di contrappeso delle libertà.
Foucault si spinge oltre sostenendo che il controllo sia il principio motore della libertà, facendo riferimento alla politica del Welfare di Roosevelt.
A partire dal 1946 questa serie d’interventi, volti a risollevare una situazione economicamente, e quindi socialmente, difficile, hanno di fatto suscitato la paura di un nuovo dispotismo: interventi volontaristici, economici diretti sui mercati europei che imponevano determinate condizioni per poter usufruire dei flussi di denaro.
Dopo piú di sessanta anni non ci ritroviamo forse nella stessa situazione?
A partire dal 2008 le condizione economiche italiane, e non solo italiane, sono andate
via via aggravandosi.
Ci troviamo ora in una situazione di sostanziale dipendenza dai capitali esteri. <<In questo caso le libertà democratiche vengono garantite attraverso un interventismo economico che è denunciato come minaccia per le libertà, cosicché si arriva […] a formulare l’idea […] che quest’arte liberale del governo, in definitiva, provoca essa stessa, o è vittima dal suo interno, di ciò che potremmo chiamare crisi di governamentalità>>.
Se ne deduce logicamente che le crisi del liberalismo sono collegate alle crisi dell’economia del capitalismo.