Il tempo dell’essere tra solitudine e socialità

11.01.2013 11:51

 

<<La conoscenza più audace e lontana non ci mette in comunione con il veramente altro, non rimpiazza la socialità: la conoscenza è ancora e sempre solitudine>>.

 

A parlare è Emmanuel Lévinas, filosofo francese, il quale, durante un’intervista con Philippe Nemo, affronta il tema del tempo e della solitudine. Non si può parlare di solitudine se non in relazione al suo contrario: la socialità. Infatti, non è possibile affermare che <<la filosofia pura possa essere per davvero pura senza andare al “problema sociale”>>. La ricerca sulla relazione con gli altri trova il suo fondamento principe nel tempo, <<come se il tempo fosse la trascendenza, come se fosse l’apertura per eccellenza verso altri e verso l’Altro>>. Ma cos’è il tempo? Si può parlare di un tempo della solitudine e di un tempo della socialità? Qual è la via giusta da percorre per trovare delle risposte? Senza gli altri saremmo “qualcuno”? Senza il corpo sociale che ci circonda potremmo parlare di individualità? Potrebbe esistere un mondo fatto di singoli individui separati gli uni dagli altri? Evidentemente no, <<il tempo non è fatto di un soggetto isolato e solo, ma è la relazione stessa del soggetto con altri>>. Non si può, dunque, parlare di solitudine dell’essere né di isolamento nell’angoscia. La relazione è ciò che fa da sfondo a qualunque nostra azione.

Ma Lévinas va oltre.

<<In realtà nulla è più privato del fatto di essere. L’esistenza è l’unica cosa che non posso comunicare: posso raccontarla ma non posso condividerla. La solitudine appare perciò come l’isolamento che segna l’evento stesso di essere. Il sociale sta al di là dell’ontologia>>. Siamo circondati da persone, oggetti con cui  intratteniamo relazioni. Siamo con gli altri. Ma non siamo gli altri. Ma questo “essere con” <<rappresenta una vera condivisione dell’esistenza? Come realizzare questa condivisione? O ancora – considerato che il termine <<condivisione>> suggerirebbe che l’esistenza rientra nell’ordine dell’avere –: si dà una partecipazione all’essere che ci faccia uscire dalla solitudine?>>.

Che cosa è possibile condividere? Quello che si ha, ma non quello che si è.

Heideggerianemente la relazione fondamentale dell’essere non è quella con gli altri, ma quella che solo ognuno di noi può e deve affrontare solo: la morte.

 

<<Tra esseri ci si può scambiare tutto, tranne l’esistere, e in questo senso essere significa isolarsi attraverso l’esistere. In quanto sono, io sono monade>>. L’esistere, incomunicabile, è radicato nel mio essere, <<che rappresenta la cosa più privata in me, così che ogni ampliamento della mia conoscenza e dei miei mezzi per esprimermi non ha conseguenze sulla mia relazione con l’esistere, relazione interiore per eccellenza>>.

 

La solitudine è solo uno tra i molteplici segni dell’essere; non si tratta di uscire dalla solitudine, ma piuttosto di uscire dall’essere.

 

La prima soluzione per uscire da sé è rivolgersi al mondo e a tutti <<i nutrimenti terrestri: i godimenti con i quali il soggetto inganna la sua solitudine>>. Ma il verbo “ingannare” è indice di un’illusione.

A che punto si può arrivare se questo è il filo logico del nostro ragionamento? È possibile uscire davvero da sé? Cosa rappresenta per noi la socialità? E la conoscenza?

<<In ultima analisi nella conoscenza c’è un’impossibilità di uscire da sé, e quindi la socialità non può avere la sua stessa struttura>>. Anche la conoscenza più audace <<non ci mette in comunione con il veramente altro, non rimpiazza la socialità: la conoscenza è ancora e sempre una solitudine>>.

La socialità, rispetto alla conoscenza, è un modo diverso di uscire dall’essere; tuttavia quando parliamo di socialità, lo abbiamo già detto, parliamo di relazioni e di tempo. Il tempo si presenta come semplice esperienza della durata? La risposta a questa domanda è negativa. Il tempo è <<un dinamismo che ci conduce altrove rispetto alle cose che possediamo. Come se nel tempo ci fosse un movimento al di là di ciò che è identico a noi>>.

 

Ciò che da questa riflessione suggerisco di fare è di attraversare la solitudine e l’alterità dell’esistenza per poter giungere ad una personale forma di conoscenza da condividere con il tempo del vostro essere e degli altri, perché ciononostante se la conoscenza è ancora e sempre solitudine, esiste per tutti una relazione con una particolare alterità che fa cadere ogni diaframma tra tempo, solitudine e sapere.