Lo stato di eccezione, spazi politici mobili

15.01.2013 14:26

 

Lo stato di eccezione, ossia, la sospensione dell’ordine giuridico, viene da noi considerato come una misura provvisoria e straordinaria ma, nella realtà del periodo storico in cui siamo, dovrebbe essere piuttosto esaminato, non piú come un’emergenza ma, come un paradigma normale di governo, che determina in modo sempre piú massiccio la politica sia estera sia interna degli stati.

Lo stato di eccezione è paradossale nella stessa misura in cui lo è il rapporto tra vivente e diritto. La sospensione del diritto attraverso lo stato di eccezione può essere implicita o esplicita. Un governo può emanare disposizioni che sospendono i diritti individuali.

Facciamo un esempio che può aiutare a capire, in modo piú pragmatico, di cosa si tratta.

<<Lo USA Patriot Act, emanato dal Senato americano il 26 ottobre 2001, provvedimento ricondotto da Agamben alla casistica dello stato di eccezione, concede poteri eccezionali al procuratore generale>>. Quest’ultimo può trattenere stranieri, i quali, sospettati di cospirare contro lo Stato ma in assenza di un vero e proprio capo d’imputazione, si trovano in una situazione che non concede loro garanzie giuridiche. <<Dopo una settimana il sospettato deve essere o espulso dal Paese o accusato di un crimine. In quei sette giorni, non essendo né prigioniero di guerra, né condannato, né accusato, il soggetto è privo di qualsiasi statuto giuridico>>. Attraverso lo stato di eccezione si dà manifestazione di una situazione internazionale nuova, nella quale gli strumenti giuridici tradizionali risultano inappropriati. <<Non si tratta del semplice superamento delle tradizionali unità politiche territorializzate e organizzate giuridicamente, in uno scenario globale, ma del ridisegnarsi normativo dell’idea moderna di Stato […] in spazi politici mobili>>. Che interpretazione possiamo dare a questi spazi politici mobili? La guerra si presta a tale scopo, per esempio. Già durante la Seconda Guerra Mondiale, le forme di conflitto avevano assunto un nuovo profilo, portando, insieme alla distruzione, una mobilitazione del corpo sociale biopoliticamente inteso.

Proviamo ora a fare un salto sulla linea del tempo e ci renderemo conto di come tutto ciò sia attuale.

Afghanistan, novembre 2001. Dopo due mesi dall’attacco che colpì al cuore gli Stati Uniti, <<nei cieli dell’Afghanistan prende forma un nuovo tipo di guerra ‘umanitaria’. L’aggettivo non riguarda piú l’intenzione del conflitto […] ma il suo stesso strumento privilegiato, vale a dire i bombardamenti. È così che sul medesimo territorio, e nello stesso tempo, insieme a bombe ad alto potenziale distruttivo, vengono sganciati anche viveri e medicinali>>.

In una società che si impone di proteggere la vita, si delinea la problematica di quanta legittimità giuridica ci sia in queste guerre condotte in nome dei diritti universali; basate, però, su decisioni arbitrarie di coloro i quali, essendo al potere, hanno possibilità di esigere. L’ossimoro non sta forse nella convivenza simultanea di produrre la morte e proteggere la vita?

<<Dalla guerra del e contro il terrorismo alle migrazioni di massa, dalle politiche sanitarie a quelle demografiche, dalle misure di sicurezza preventiva all’estensione illimitata delle legislazioni di emergenza>>: si tratta di affrontare questi temi, saltando da un punto di vista all’altro, contrapponendo tra loro vita e morte.